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Dalla sconfitta militare di Da’esh alle elezioni politiche dello scorso maggio: aggiornamenti.

Dal discorso di Al-Baghdadi nella Moschea Nuri al-Kabir di Mosul (giugno 2014), i tre anni e mezzo di guerra in campo aperto condotta contro Da’esh sono costati la vita – secondo le stime delle fonti militari – a circa 25 mila oppositori (di cui circa 7.000 stranieri), circa 10 mila Irakeni e poco piu’ di 1.800 Peshmerga.

Dal giugno 2014 al dicembre 2017, circa un terzo del territorio nazionale, abitato da poco piu’ di quattro milioni di cittadini, e’ stato perso e riconquistato. Le forze ribelli sono state oggetto di oltre 30 mila interventi aerei della Coalizione e cio’ malgrado, sono riuscite ad infiltrarsi profondamente nelle comunita’ prevalentemente sunnite delle regioni sopra citate. Come opportunamente sottolineato da vari analisti, le ragioni di fondo che avevano determinato questo atteggiamento verranno meno solo allorche’ il legittimo Governo centrale riuscira’ a sradicare le cause di fondo della storica frammentazione etnica, settaria, tribale e, ai giorni nostri, economico-sociale di questo Paese. In tal senso, lotta alla corruzione rampante (anche quest’anno Transparency International ha attribuito la seconda peggior posizione al mondo all’Iraq); serie riforme economiche e di governance; un concreto sforzo per il superamento della tradizionale prassi delle quote settarie (muhassasa) nella ripartizione degli incarichi; politiche dirette alla tutela delle minoranze e per la parita’ di genere, sono iniziative altrettanto necessarie delle operazioni militari per ridefinire un percorso pacifico e stabile per il nuovo Iraq post-Da’esh.

A quasi due mesi dalle elezioni politiche del 12 maggio scorso – contrassegnate da relativa sicurezza con pochi atti di violenza – lo scenario politico sembra tuttavia ancora lungi dal trovare una chiara composizione che permetta di dar seguito al dettato costituzionale in merito alla convocazione della prima seduta del neo-eletto Parlamento, all’elezione del Presidente della Repubblica e, infine, alla nomina da parte di quest’ultimo del Primo Ministro che avra’ l’incarico di formare il nuovo Esecutivo. Lo scorso 21 giugno, infatti, questa Corte Suprema ha dichiarato legittimo l’emendamento alla Legge elettorale votato il 6 giugno dal Parlamento iracheno, con l’effetto di impegnare la nuova Commissione Elettorale formata da nove giudici nominati dall’equivalente del Presidente della nostra Corte di cassazione nel conteggio manuale dei voti. Non mancano esperti legali ed esponenti politici che esprimono dubbi squisitamente legali sull’interpretazione della Corte Suprema, sottolineando che il Parlamento in scadenza non avesse l’autorita’ per ”imporre” un nuovo conteggio dei voti (e, dunque, di decidere autonomamente di prolungare la propria vigenza oltre la scadenza del 30 giugno ”fino al termine delle procedure di conteggio dei voti”).

La presa d’atto di UNAMI e la riconferma della disponibilita’ a fornire consulenza, sostegno ed assistenza per gestire questa ulteriore fase post-elettorale, e’ il riconoscimento che questa sia la soluzione approvata anche dai principali partner internazionali. Lo stesso Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per l’Iraq, Jan Kubis, si e’ detto fiducioso che il Collegio dei giudici adottera’ modalita’ di conteggio che consentiranno un lavoro rapido e trasparente, sperando che questo conteggio aumentera’ la fiducia nel processo elettorale, migliorera’ la sua integrita’ ed assicurera’ la legittimita’ dei risultati finali.