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La crisi umanitaria irachena peggiora. Fallujah rimane uno dei centri piu’ colpiti.

La crisi umanitaria in Iraq continua a peggiorare. Negli scorsi mesi, come indicato negli ultimi rapporti dell’OCHA, del WFP e da altre agenzie delle Nazioni Unite, la condizione degli iracheni nelle zone colpite dalla furia del sedicente Stato Islamico si sta deteriorando in maniera estremamente preoccupante. E’ stato stimato che dagli inizi dello scorso marzo piu’di 80.000 persone sono state costrette nuovamente a lasciare le proprie abitazioni, soprattutto nei governatorati dell’Anbar, di Mosul e di Salah Al-Din. Di questi 80.000 individui, 33.000 circa rimangono tuttora senza fissa dimora. Nel corso degli ultimi tre anni, da quando la crisi umanitaria e’ iniziata, le organizzazioni umanitarie governative e non hanno trovato vari ostacoli. In particolare, l’erogazione degli aiuti e’ stata resa estremamente difficoltosa a causa della condizione di estrema insicurezza in cui gli operatori si trovano a dover agire. Inoltre, molto spesso le risorse a disposizione non sono sufficienti per poter garantire un’assistenza adeguata non solo alle persone sfollate, ma anche alle comunita’ dei villaggi che si trovano ad ospitare coloro che scappano da Da’esh. Certamente anche la situazione politica e lo stallo economico in cui versa l’Iraq non aiutano. La forte instabilita’ politica e l’impossibilita’ di implementare efficaci riforme, nonche’ la caduta del prezzo del petrolio, l’enorme crisi fiscale e le ingenti risorse impiegate nelle operazioni militari contro lo Stato Islamico non fanno che spostare l’attenzione generale da quella che e ’stata definita una delle piu’ grandi tragedie umanitarie dei nostri tempi, assieme alla crisi siriana.

In questo contesto una delle citta’ che presenta le maggiori criticita’ e’ Fallujah, una delle citta’ principali del governatorato dell’Anbar a circa 69 km ad ovest dalla capitale irachena, Baghdad. In questa citta’, ormai martoriata dai bombardamenti aerei a danno dell’ISIL, l’accesso delle organizzazioni umanitarie e’ praticamente impossibile. Tuttora ne’ le Nazioni Unite ne’ altri organismi sono riusciti a stimare il numero di abitanti ancora presente all’interno della citta’. In ogni caso, un fatto e’ evidente: la citta’non puo’essere rifornita ne’ di cibo ne’di medicinali. Secondo un resoconto del WFP datato 11 aprile 2016, a marzo 2016 il prezzo del cibo all’interno di Fallujah e’ aumentato di sei volte rispetto al prezzo corrente nel dicembre 2015. Secondo altre fonti anche beni essenziali come acqua potabile e corrente risultano essere estremamente scarse. La situazione di Fallujah e’ resa ulteriormente precaria dall’impossibilita’ delle persone residenti in loco di poter fuggire. Infatti, la citta’ e’ circondata da aree in cui il conflitto contro Da’esh e’ quotidianamente attivo e dove i bombardamenti sono all’ordine del giorno. La contingenza disperatamente grave di Fallujah rappresenta la cartina di tornasole di una crisi che ormai sta raggiungendo livelli ingestibili. In queste settimane, le organizzazioni umanitarie stanno richiedendo ai vari governi della coalizione di intervenire mettendo a disposizione maggiori risorse che si rivelano necessarie per sostenere gli inevitabili sforzi dovuti ad un’emergenza di questa portata. Secondo l’Iraq Humanitarian Response Plan del 2016 e’ fondamentale che si riesca a raggiungere un fondo pari almeno a 861 milioni di dollari, in maniera da poter garantire un’assistenza di base agli sfollati e a tutti i soggetti in urgente bisogno. Per la fine di aprile si e’ ricevuto solo il 23 % della cifra totale costringendo le organizzazioni umanitarie a scelte estremamente difficili in termini di allocazione delle risorse. In questa cornice, l’Italia rimane in prima linea con il suo supporto e le sue donazioni, assieme ai governi della Coalizione Anti Da’esh che, oltre ad essere impegnati militarmente, tentano di sopperire a tutte le richieste di aiuto della popolazione irachena coinvolta in questa enorme tragedia umanitaria.