L’Ambasciatore a Baghdad: «Finanziate dalla Farnesina anche 18 missioni archeologiche»
Un’amicizia stabile e di lunga data»: l’Italia non ha «mai abbandonato l’Iraq e la nostra presenza nel paese mediorientale è molto apprezzata non solo in sede Nato, ma anche dagli iracheni. Maurizio Greganti, ambasciatore a Baghdad da un anno, conferma che «l’azione italiana per la stabilità e la prosperità dell’Iraq è un nostro interesse fondamentale».
Il governo iracheno aveva promesso un paese «nuovo», ma non sembra che sia realmente così, qual è la situazione oggi?
«È stata molto tesa nell’ultimo anno, soprattutto dopo le elezioni di ottobre 2021, perché le parti in causa nell’arena politica avevano trovato difficoltà a raggiungere un accordo per la formazione di un esecutivo. Ora è diverso: ci sono un presidente della Repubblica e un Governo nel pieno delle funzioni. È un momento di ritrovata stabilità».
Dal 10 maggio l’Italia ha assunto il comando della missione Nato a Baghdad, come è vista la nostra presenza a livello locale?
«Siamo nel paese dal 2003: dal cambiamento di regime siamo sempre stati presenti anche nei momenti più difficili, sia nella coalizione costituita per la lotta contro l’Isis, sia nella missione Nato che è molto importante e della quale abbiamo il comando con il generale Giovanni Maria Iannucci. Del resto è stato lo stesso Governo iracheno a chiederci di essere presenti. L’Italia è molto amata in Iraq, e lo riscontro quotidianamente nei rapporti che ho con loro».
Quali sono gli interessi che ci spingono a rimanere?
«Il teatro iracheno è strategico perché è strettamente connesso al Levante – dove l’Italia è presente sia in Libano, sia nel Mediterraneo orientale – e all’Iran, rispetto al quale Roma ha tutto l’interesse a contribuire a una ripresa del negoziato internazionale sul programma nucleare del Paese».
Che tipo di accordi commerciali ed economici abbiamo con Baghdad?
«In primo luogo l’energia, perché l’Iraq è il quinto produttore al mondo di petrolio, il secondo nell’ambito dell’Opec, ed è uno dei nostri principali fornitori. Per noi è un paese chiave. Le aziende italiane sono presenti e molto attive, soprattutto nel settore dell’OileGas. Gli ultimi dati di gennaio-luglio 2022 rilevano un interscambio commerciale di 4,2 miliardi di euro, con una grande crescita rispetto all’anno precedente. Siamo su numeri che sono già superiori al periodo pre-pandemia. Nel paese c’è una forte domanda di made in Italy in generale. È un paese di giovani (il 60% della popolazione ha al di sotto dei 30 anni) e ha un grandissimo potenziale».
Quali sono i settori più in crescita?
«L’Italia ha una presenza storicamente importante nella cooperazione allo sviluppo. L’Iraq è un paese prioritario e dal 2005 abbiamo investito in moltissimi progetti, in particolare sul piano dell’istruzione, della salute, per il sostegno a fasce più vulnerabili, per le aree che sono state liberate dallo Stato islamico, e per la popolazione femminile. Diversi i lavori effettuati, a cominciare dal ripristino e dalla messa in sicurezza della diga di Mosul, la più grande del paese. Era a rischio crollo, che sarebbe stato drammatico, e siamo riusciti ad evitarlo».
C’è spazio anche per la crescita culturale.
«Do priorità a questo settore perché credo che sia una delle cose più belle che l’Italia possa fare all’estero e in cui possiamo assicurare un vero valore aggiunto, forti della nostra grande competenza ed esperienza nella protezione e nel recupero del patrimonio culturale. L’Iraq, dal canto suo, è considerata la culla della civiltà. Lì è stata inventata la scrittura e lì sono nate le prime città. Abbiamo 18 missioni archeologiche finanziate dal ministero degli Esteri, il numero maggiore in assoluto fra i paesi presenti in Iraq».
L’Isis esiste ancora?
«Dopo la dichiarazione della vittoria sul Califfato del 2017, l’Isis come minaccia territoriale non esiste più. Esistono nuclei attivi nelle zone più desertiche e montane del paese. Pesa anche la contiguità territoriale con la Siria. Ma direi che la situazione è drasticamente migliorata in Iraq rispetto a soli pochi anni fa».
Se si parla di Iraq non si può fare a meno di ricordare Nassiriya, quando nel 2003 vennero uccisi 19 militari italiani e 9 iracheni.
«Ogni anno celebriamo il 12 novembre la ricorrenza della strage. Siamo ancora presenti con le nostre forze armate, soprattutto con l’Arma dei carabinieri che ha pagato un prezzo molto alto. In ambasciata ho alcuni di loro che erano molto vicini, amici stretti, a quelli che sono morti. Il ricordo è sempre vivissimo».