Le elaborazioni operate dall’ENI sui dati forniti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), mostrano una domanda di petrolio in modesta crescita, per lo più spinta dal recupero dei consumi dei paesi OCSE, ma soprattutto un’offerta in costante aumento, alimentata dalla produzione dei paesi non-OPEC (shale oil USA), per un effetto netto che incide al ribasso sul prezzo del barile.
Nel “Oil Market Report” di luglio, la IEA ha previsto come, per il resto del 2015 e per l’inizio del 2016, il prezzo del barile difficilmente avrà un trend in crescita a causa di un decremento della domanda di petrolio che, dopo aver raggiunto il suo picco nel primo quadrimestre del 2015 a 1,8 mb/g, si assesterà attorno agli 1,2 mb/g.
Il quadro prettamente economico è poi influenzato da tre importanti fattori politici: la decisione in giugno da parte dell’OPEC di non modificare il target produttivo fissato nel 2011 a 30 mb/g; l’incertezza derivata dalla minaccia costante dell’ISIS in Iraq e in Libia; la firma dell’Accordo sul Nucleare tra Iran e i P5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) e la rimozione delle sanzioni che potrebbero aprire le porte del mercato petrolifero al greggio della Repubblica Islamica.
In tale quadro generale, si inserisce in luglio l’annuncio del Ministro del Petrolio della Repubblica di Iraq, Abdul al-Mahdi, dei dati riguardanti la vendita di petrolio nel primo semestre del 2015: la State Organization for Marketing of Oil (SOMO) avrebbe piazzato sul mercato 530 milioni di barili di greggio, venduti per un importo complessivo di $ 26 miliardi e 700 milioni. Il Ministero del Petrolio, in sinergia con le maggiori compagnie petrolifere operanti sul territorio iracheno, ha progressivamente incrementato la produzione, passando dai 2,4 mb/g di gennaio ai 3,2 mb/g di giugno, nonostante la perdita della raffineria di Beiji in aprile, oggi di nuovo sotto controllo delle forze governative ma il cui stato di operatività è in fase di valutazione. Tale trend positivo si e’ registrato nonostante le difficolta’ da parte del Governo federale di attuare l’accordo con il Governo Regionale del Kurdistan il quale avrebbe venduto in giugno, direttamente sul mercato internazionale, circa 400 mila barili. Tale significativo risultato, che costituisce un passo in avanti per assestarsi come secondo paese esportatore OPEC dopo l’Arabia Saudita, e’ stato raggiunto pero’ attraverso un aumento della base produttiva. Mentre e’ difficile che tale aumento possa continuare in futuro, in mancanza di investimenti di lungo periodo sugli impianti petroliferi – i suoi risultati in termini di introiti rischiano di essere ulteriormente pregiudicati dal nuovo abbassamento del prezzo del petrolio.
Le difficolta’ di bilancio per lo Stato saranno percio’ passibili di aumentare in futuro: lo sforzo volto a massimizzare la capacita’ dei giacimenti e aumentare l’output di breve periodo non ha colmato il deficit di bilancio determinato da un prezzo di vendita inferiore a quello stimato a inizio anno nella Legge di Bilancio, su cui i proventi della vendita del petrolio gravano per il 90%.
Intervistato in luglio da “Oil Magazine”, trimestrale dell’ENI, il Ministro del Petrolio Al-Mahdi si è comunque detto fiducioso sul futuro andamento del mercato petrolifero, ponendosi un obiettivo di lungo periodo molto ambizioso, ovvero quello di portare la produzione a 6-7 mb/g nel 2020. Non è sembrato poi particolarmente preoccupato dei problemi del bilancio, dichiarando come essi abbiano indotto a “razionalizzare i costi di produzione” e come stiano “spingendo il Governo a mettere in atto alcuni tagli, soprattutto rispetto alle spese superflue”.
Intanto, dopo gli aiuti decretati dal Board a inizio giugno, per un valore di $ 830 milioni, il Fondo Monetario Internazionale ha approvato la concessione all’Iraq di un’altra tranche di finanziamenti attraverso il “Rapid Financing Instrument” per un ammontare di $1,24 miliardi per far fronte agli squilibri della bilancia dei pagamenti e di bilancio.